8 mag. - 30 sett. 2025
What did the mermaid tell you?
Miho Kajioka


Spot home gallery presenta la prima mostra antologica in Italia dell’artista giapponese Miho Kajioka, intitolata What did the mermaid tell you?, con una selezione di opere che ripercorrono il suo cammino artistico nell’arco di oltre un decennio: And do you still hear the peacocks?, serie nata a seguito della tragedia di Fukushima, una riflessione silenziosa sulla bellezza che affiora dopo il dolore; So it goes, un’indagine poetica sul tempo non lineare e sulla memoria; la più recente serie dei Tanzaku, piccoli frammenti visivi ispirati alle strisce di carta verticali su cui, nella tradizione giapponese, si scrivono poemi; e alcune opere inedite realizzate per l’occasione.
Il titolo What did the mermaid tell you? prende ispirazione da una riflessione sul legame profondo e inaspettato tra Napoli, città che ospita la mostra, e la terra di Miho Kajioka, il Giappone: due luoghi lontani ma affini, abbracciati dal mare e scolpiti dal fuoco dei vulcani, abitati da creature leggendarie come le sirene. In entrambi, le forze della natura hanno generato storie che trascendono il tempo, intrecciando realtà e immaginazione, bellezza e tragedia.
In questo mondo condiviso di miti e tradizioni, la sirena si fa nostra guida, accompagnandoci nell’universo poetico di Miho Kajioka, sospeso tra il visibile e l’invisibile, la luce e l’ombra, la presenza e l’assenza.
What did the mermaid tell you? Cosa ci racconta la sirena? Forse ci parla della fragilità dell’esistenza, della bellezza che abbraccia l’imperfezione, della grazia delicata che abita nelle piccole meraviglie della vita quotidiana.
Miho Kajioka è un’artista che esplora il legame profondo tra memoria, tempo e bellezza. Pur considerandosi più una pittrice che una fotografa, utilizza la fotografia come mezzo per esprimere la propria visione artistica. Il suo approccio è spontaneo e intuitivo: porta con sé la macchina fotografica ovunque, cogliendo frammenti del quotidiano che la colpiscono. Queste immagini raccolte diventano il materiale di partenza per il suo minuzioso lavoro in camera oscura, dove, attraverso tecniche di stampa alternative e sperimentali, le trasforma in veri e propri oggetti, poetici e suggestivi.
Le sue eteree stampe ai sali d’argento si distinguono per i bordi irregolari e l’ampio uso degli spazi vuoti, che evocano sbiadite memorie che sembrano dissolversi lentamente verso il nulla. L’uso del tè o del caffè per tonificare le immagini ne accentua l’atmosfera sospesa, conferendo loro un’aura di mistero e nostalgia, come se provenissero da un tempo indefinito.
L’estetica di Miho Kajioka affonda le sue radici nella cultura d’origine, ma è stata profondamente plasmata dall’esperienza della distanza. A diciott’anni ha lasciato il Giappone per studiare arte negli Stati Uniti e in Canada. Da lontano ha iniziato a confrontarsi con la propria eredità culturale, riscoprendone il valore e una sensibilità attenta ai minimi dettagli, alle pause, ai silenzi, alle connessioni invisibili che abitano gli spazi tra le cose.
Spesso ispirate da eventi traumatici, come il terremoto e lo tsunami del 2011, le sue fotografie diventano il veicolo di una riflessione sulla bellezza della vita — non come negazione del dolore, ma come risposta alla consapevolezza della sua fragilità.
In ogni scatto, Kajioka gioca con il concetto di tempo: un tempo fluido, non lineare, in cui passato, presente e futuro si intrecciano, e dove ogni momento si fa frammento di un’infinita memoria.
Riconosciuta anche per la creazione dei suoi raffinati libri d’artista, Miho Kajioka è oggi una delle voci più poetiche della fotografia contemporanea.
Note dell’artista
Per molti anni ho messo da parte la mia vocazione artistica, finché una tragedia non mi ha ricondotto all’arte.
A 18 anni mi sono trasferita negli Stati Uniti e ho iniziato a studiare pittura al San Francisco Art Institute. Lì, per la prima volta, ho potuto osservare il mio Paese e la sua cultura da una prospettiva esterna, imparando a coglierne la bellezza. Durante gli otto anni trascorsi tra gli Stati Uniti e il Canada, il Giappone è sempre stato al centro delle mie riflessioni artistiche. Eppure, al mio ritorno — dopo averlo contemplato così a lungo da lontano — sentivo di aver smarrito il senso del mio fare artistico. Decisi allora di intraprendere una carriera nel giornalismo.
Fu il terremoto e lo tsunami del 2011 in Giappone a riaccendere il mio legame con l’arte.
Da quel momento, iniziai a documentare quotidianamente la catastrofe per una rete televisiva brasiliana. Era la prima volta che percepivo la morte così vicina. Tre mesi dopo il disastro, mentre mi trovavo nella città costiera di Kamaishi — dove avevano perso la vita oltre 800 persone — vidi delle rose fiorire accanto a un edificio sventrato. Quella combinazione di grazia e rovina evocò in me i versi di una poesia giapponese:
In primavera, i fiori di ciliegio,
in estate il cuculo,
in autunno la luna,
e in inverno la neve, limpida e fredda.
Scritta dal monaco zen Dōgen, la poesia celebra la bellezza effimera e vulnerabile del ciclo delle stagioni.
Le rose che vidi a Kamaishi sbocciavano semplicemente perché il clima si era fatto più mite, ma quel gesto silenzioso e puro, compiuto in mezzo alla distruzione, mi colpì profondamente. Quel momento segnò il mio ritorno all’arte. (M.K.)


© Miho Kajioka, serie Tanzaku, BK0511, 2019


© Miho Kajioka, BK310, 2018


© Miho Kajioka, BK0477, 2019


© Miho Kajioka, #0019, 2021


© Miho Kajioka, BK0370, 2018