Homecoming

New York • Varanasi • Napoli

Michael Ackerman

Homecoming è una celebrazione del tempo. L’espressione compiuta di un’arte circolare.

Tornare a casa è il moto del tempo che si compie, eternamente.

Allo stesso modo, la scimmia sul filo, i cavalli nella nebbia o la bambina sul sentiero esibiti in questa mostra “tornano a casa”, in altre parole hanno senso in uno spazio immaginario unico e infallibile.

Proprio per questo la fotografia di Michael Ackerman è arte del tempo e del suo mistero.

È tempo remoto che fa irruzione nel presente, come nelle immagini degli animali, dell’affetto profondo tra le specie, in cui ritroviamo un ricordo antico, una nostalgia profonda di unione e libertà.

È tempo istantaneo, come nei volti di queste star della strada illuminate dalle luci delle albe e dei tramonti.

Ed è tempo presago, come nelle fotografie dei profeti dei bassifondi che salgono dal buio della grande città, figure meravigliose e sacre colpite da squarci di luce di un altro mondo, di un tempo a venire.

Varanasi e New York arrivano come due diversi racconti di uno stesso rito, dello stesso mistero che si compie davanti ai nostri occhi: profezie e leggende non meno reali della città che si vede e si tocca.

È questo il fatto straordinario raccontato in Homecoming: è davanti a noi, in ogni momento, la possibilità di trovare il tempo, di perderlo, aprirlo, seguirlo. Le immagini di Ackerman raccontano di una possibilità sempre presente, di un atto poetico di affetto profondo, di commozione e simpatia per la gente e le loro storie che vanno e vengono, per vite consumate e fragili speranze.

Ogni personaggio porta un tempo che risuona, apre una piega nella memoria e scocca una freccia che va dritta al cuore dell’immaginazione, risvegliandola.

Napoli è fuori da ogni immaginazione ma si fa luogo di questo rito del tempo. E ha senso sottrarla alla rappresentazione ma segnalarla nel titolo della mostra, perché è nell’assenza di ogni iconografia che Napoli diventa soglia, spazio possibile dove città e storie che qui non sono mai passate diventano effettivamente comprensibili.

Come all’improvviso un luogo ha senso nel momento in cui abbiamo capito di essere tornati a casa.

 

Laura Lieto

 

 

 

 

Note dell’artista

 

Sono abbastanza certo di aver iniziato a fotografare a 18 anni come conseguenza del mio sradicamento personale e ancestrale. La fotografia è stata un linguaggio nuovo, una voce e un modo per entrare in contatto con un’umanità spesso fragile e vulnerabile.

È un’esplorazione di persone e luoghi profondamente stratificati, tormentati e trasformati. Non ho mai avuto la certezza di una casa. Sono nato in Israele, cresciuto a New York e ora vivo con mia moglie e mia figlia a Berlino. Ho sempre saputo di essere un outsider e mi sento legato ad altri outsider, ai paesaggi urbani e non, e agli animali che incarnano questo spirito. Sono guidato dal bisogno di guardare al di là della superficie e delle facciate. In un certo senso, di vedere l’invisibile.

Tornare a casa è impossibile, ma la ricerca non ha mai fine. Ci sono luoghi in cui amo stare, ai quali mi sento connesso, luoghi dove esistere e perdermi è puro piacere (New York, Varanasi, Napoli tra gli altri). Luoghi in cui mi sono sentito un po’ meno alieno.

La fotografia è un atto di riconoscimento profondo. Quando scatto una foto ho la breve illusione di appartenere. M.A.

 

 

Biografia