Andamento lento

Lorenzo Castore

 

Sogno #5

 

 

L’installazione audiovisiva in mostra è un progetto di Irene Alison e Lorenzo Castore, musica e sound design di Emanuele de Raymondi, realizzato a Napoli nel 2013 (durata 10 minuti).

 

“Sogno #5 indaga la bipolarità, una disfunzione mentale tipica della nostra società contemporanea. Ho deciso di rappresentarla chiedendo a pazienti bipolari di tornare a recitare – improvvisando partiture fisiche sulla base di una riscrittura emozionale de Il Sogno di August Strindberg – negli spazi un tempo dedicati all’internamento e alla terapia psichica, oggi abbandonati alla negligenza e attaccati dalla forza della natura. Come in un gioco di specchi, il disordine mentale e il crollo dello spazio pubblico si riflettono l’uno nell’altro.
A quasi trent’anni dalla sua chiusura ufficiale, l’Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi rimane arroccato con la sua immensa mole proprio nel cuore della città di Napoli. 220.000 metri quadrati di padiglioni, corridoi e stanze nei quali dal 1897 al 2000, quando l’ultimo paziente fu dimesso, si sono sedimentate le storie di quello che è stato il più grande manicomio del Sud d’Italia. Oggi l’Ospedale, totalmente inutilizzato, si presenta come un enorme deposito di ricordi del passato, chiuso al pubblico e sconosciuto agli abitanti della città”. (L.C.)

 

 

C’è una città fantasma a Napoli. A oltre trent’anni dalla sua chiusura ufficiale, nel 1983, l’Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi resta arroccato con la sua mole immensa sulla collina di Capodichino. Duecentoventimila metri quadrati di padiglioni, corridoi, ambulatori, nei quali, dal 1897 al 2000 – anno della effettiva dismissione degli ultimi pazienti, 17 anni dopo la chiusura ufficiale dell’ospedale e sei anni dopo la definitiva esecuzione della legge 180 del 1978, che decretò la chiusura degli ospedali psichiatrici in tutta Italia – si sono sedimentate le storie di quello che è stato il più grande manicomio del meridione d’Italia.

 

Oggi, l’Ospedale Leonardo Bianchi rimane come un enorme monumento al ricordo, inaccessibile al pubblico e sconosciuto persino agli abitanti della città. Il Bianchi è un labirinto. È un mistero. Una vertigine tra passato e presente. Dalla fascinazione per questo luogo è nata l’esigenza di reinterpretarlo artisticamente. Ma come ridare vita a questi spazi? Come far parlare i muri?

 

La nostra risposta è passata per la rioccupazione creativa del manicomio e per la sua libera reinterpretazione da parte di un gruppo teatrale composto da pazienti psichiatrici, che hanno portato nei luoghi del Bianchi il loro vissuto, e la loro capacità di rappresentarlo. Gli attori hanno improvvisato partiture fisiche sulla base di una riscrittura de Il Sogno di August Strindberg: le linee dell’opera ci hanno aiutato a far emergere tensioni e memorie, a creare nuove interazioni con lo spazio, raccontandolo col gesto, con la dialettica tra i corpi.

 

La macchina fotografica di Lorenzo Castore, che ha documentato espressionisticamente l’azione teatrale, ha costruito un racconto di amore e di scoperta, di ricerca e di memoria.

 

Il percorso visivo corre parallelo a quello testuale, indipendente ma complementare: se ne Il Sogno si incontra, tra le stanze di uno stesso castello, una galleria di archetipi che rappresentano simbolicamente la complessità della condizione umana, noi abbiamo deciso di incontrare e di ascoltare le storie dei testimoni della vita tra le mura del Bianchi. Nei loro racconti, frutto delle interviste di Irene Alison, i codici dello storytelling documentario si contaminano con quelli della drammaturgia teatrale.

 

La collaborazione con il compositore Emanuele de Raymondi, che ha registrato i suoni delle azioni teatrali – respiri, risate, grida, passi, sussurri – ci ha permesso infine di costruire una partitura sonora che fa da tessuto connettivo all’intero progetto, arricchendone le possibilità di lettura.

 

Irene Alison

 

 

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